Tutti a scrivere con cosa giocavamo, come eravamo e la vita che facevamo.
Tutto al passato, senza futuro, indietro tutta … perché avanti non si è mai andato. Non conta per noi, quanto abbiamo faticato, studiato o meritato.
Siamo solo il risultato: di un calcolo sbagliato, di una percentuale negata. Perché ormai siamo divisi, 50 e 50, la metà lavora, male per pochi soldi, quasi per Hobby per le lobbies, del mercato spietato. L’altra metà sta a guardare i coetanei da dietro i vetri dei negozi. Ormai non si guardano più i capi esposti, ma i commessi, come se fossero li, a farci beffa dei nostri insuccessi.
Nonostante il dottorato, la tesi e il titolo incorniciato, non siamo mai cresciuti, nemmeno sotto gli occhi dei nostri genitori, che ci vedono sempre in casa, a prepararci, per poi passare tempo fuori. Nei locali, ancora con i vecchi amici, prima a vedere le “gallinelle” adesso le zampe di gallina. Amici e randagi, a leccarci le ferite, a tenere lo sguardo basso, perché, quelli della stessa generazione, ci guardano e ci giudicano e se non lo fanno a parole scuotono la testa. Passiamo per chi non ha voglia di fare niente, senza saper e che quello che si cerca è solo un lavoro, uno pagato. Di gente che propone cose da fare ne trovi a dozzine, ma soldi, per il tuo tempo, per le tue capacità e per il tuo impegno, non sono previsti.
Così nessuno osa, ne si sposa, ma resta in posa, per quella foto penosa, con il bicchiere in mano, con il sorriso tirato e un inferno tritato, e mal celato.
Che si tira fuori con i messaggi della buonanotte, quando con il sonno si fa a botte, quando con i pensieri si fanno progetti, che finiscono la mattina, perché lo specchio è li a ricordare tutti i tuoi difetti.
Allora preferiamo restare nascosti, chiusi nei nostri cappotti, nella continua indecisione se partire o restare, per costruire anche noi, un posto dove andare, una casa dove ritornare, una vita da gestire e affetti da coltivare.
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