Nemmeno io avrei scommesso su una pubblicazione di un mio testo, nemmeno in qualche pagina stropicciata di un periodico pubblicato da un insulso editore di provincia.
Ho sempre scritto per diletto personale, quello vero e proprio, senza pretesa alcuna: ne di comprensione, ne di pubblicazione.
Apprezzo ogni volta che qualcuno commenta uno dei miei scritti che pubblico sui social network. Lo faccio per rendermi conto che insieme alle miriadi di fesserie che posto, sono anche in grado di fare, raramente, qualche ragionamento senza fini goliardici.
Questa proprio però non l’avrei mai potuta immaginare.
Ho sorriso, quando il pittore di fama internazionale, Prof. Fabio Modica, mi ha chiesto di poter pubblicare una sua opera, con accanto il testo scritto da me (Apolide). Disse che lo ha ispirato durante la creazione.
Io non potevo credere che dicesse sul serio.
Ovviamente accettai, pensando che fosse una cosa sua e che magari sarebbe ben presto finita in sordina, lontano dagli occhi di tutti.
Giorni fa ricevo l’invito a partecipare all’inaugurazione della sua mostra personale alla Galleria d’Arte STUDIO “A”.
Stupito noto l’opera in questione in vetrina, ad aprire visivamente l’esposizione.
Credo di non essere del tutto consapevole di cosa sia successo durante l’allestimento, ma la cosa mi riempie di strane sensazioni.
Il libro contenente le opere, a pagina 22, inizia con il mio nome d’arte e il testo che parla di compiti a casa e processi interiori.
Una cosa stupenda.
Voglio con questo post invitarvi a visitare la mostra, che sarà aperta sino a metà dicembre, cercando di gustare ognuna delle singole opere di Fabio Modica, magari, leggendo le sue pennellate larghe, ricordatevi che poche persone possono godere giornalmente di queste visioni, visto che molte delle sue tele, adesso appartengo a statunitensi dal raro e fine buongusto.
Apolide
Chi l'avrebbe mai detto
dopo tutto quello che abbiamo scritto,
dopo tutti quei quaderni a quadretti,
alla fine di quei libri per forza letti,
essere infelici senza sapere bene per cosa,
noi che credevamo di avercela fatta,
e sentirci inutili
dopo tutti quei compiti a casa.
Un futuro che resta nei verbi
che non ha direzione
ma ci fa il verso, e ci fa sentire ancora acerbi
perché senza una posizione.
Così mi immagino da vecchio,
se mai non morirò prima,
con la mia vita in un secchio e un passo che si trascina,
a pensare a come sarei potuto essere
con la mia istruzione in valigia
gli amici come coriandoli
sparsi sul pianeta, a quattro angoli.
Cercare di sentirsi a casa
in ogni posto dove si mette piede
sforzandosi di sentirsi qualcosa
pur sapendo di essere apolide.